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ESCLUSIVA – Il modello inglese e l’anima persa del calcio: intervista a Matthew Bazell

Il modello calcistico inglese non ha bisogno di troppe presentazioni: stadi sempre pieni, marketing come se piovesse e fiumi di soldi per i club derivanti da sponsor e diritti televisivi. La Premier League è il manifesto ideale di un sistema apparentemente perfetto, dalla massima serie alle categorie inferiori. Ma cosa si nasconde dietro le apparenze? Ha provato a spiegarlo Matthew Bazell, autore del libro ‘Stadi o Teatri: il modello inglese e l’anima persa del calcio‘ (titolo originale ‘Theatre of silence: the lost soul of football‘). Avidità, esclusione del tifo più passionale e puro, e un giro di denaro esorbitante: ecco il male del calcio d’oltremanica che rischia seriamente di sbarcare anche nei nostri campionati.

Iniziamo dal titolo del Suo libro: ‘Stadi o Teatri?’. Perché gli stadi in Inghilterra, una volta carichi di passione ed entusiasmo, sono oggi diventati dei ‘teatri’ frequentati da un pubblico anonimo?

‘Perché oggi la folla non è la stessa di 20, 15 o anche 10 anni fa. La gente è letteralmente diversa. Ad esempio io ed i miei amici eravamo tifosi che cantavano e impazzivano per ogni gol segnato dalla nostra squadra ma oggi non andiamo più allo stadio. I prezzi dei biglietti sono molto alti e in più i tifosi sono vittime di troppi controlli imposti dalle autorità. Oggi non si è più tifosi ma spettatori: ci si siede allo stadio e si chiede intrattenimento come si farebbe in un teatro. L’Old Trafford ad esempio è chiamato ‘Teatro dei sogni’. La passione se n’è andata quindi è per questo che il titolo del mio libro in Inghilterra è ‘Theatre of silence‘.

Il modello della Premier League è ammirato ed invidiato da tutto il mondo. Lei descrive l’altro lato del calcio inglese, il più oscuro. Può spiegarci meglio in cosa consiste?

‘Il lato oscuro è da rintracciarsi nell’avidità. Sono contento per le persone che fanno bene il loro mestiere e guadagnano un sacco di soldi ma quello che abbiamo oggi nello sport moderno è un’avidità oscena e questo è un grande male. Il lato più oscuro di tutto è che le stesse persone che hanno creato le squadre inglesi più importanti sono state escluse. La working class ha creato club come Manchester United e Arsenal. Ora questi stessi club sono gestiti da miliardari e commercializzati ai turisti. Una volta che hai tagliato fuori la pietra fondante del gioco allora l’anima se ne va. Non mi sto lamentando perché non posso permettermi una Ferrari o un diamante. Mi lamento perché non possiamo più permetterci la nostra cultura!’

Da un punto di vista finanziario perché le squadre inglesi (ad esempio Manchester United, City, Arsenal, Liverpool) spendono un sacco di soldi nonostante siano piene di debiti?

Probabilmente perché i salari dei giocatori sono troppo alti. Una squadra come il QPR spende più o meno tutte le entrate annue in stipendi. Poi ci sono club come Arsenal e Newcastle che fanno milioni di profitti e non spendono abbastanza: sono felici di prendere i soldi ma non di sono disposti a spendere!’

Secondo Lei arriveremo ad assistere a quello che descrive nel tuo libro anche in Italia?

‘Penso che abbiate già vissuto una larga parte di quel che descrivo. Gli stadi italiani non sono così colpiti ma non sembrano più quelli di una volta. L’Italia cercherà di liberarsi dagli ultras e commercializzerà il gioco per aprire alle famiglie della ‘middle class’. Da quanto ho visto dalla finale di Champions League di quest’anno, solo pochi ultras hanno seguito la propria squadra allo stadio.

Come si immagina il calcio nel futuro? Come sarà?

‘Ci sarà più avidità e più commercializzazione, in Inghilterra e all’estero. Più pubblicità digitale intorno al rettangolo di gioco, più polizia e stewards e meno ultras. Ma il calcio appartiene ai tifosi. Quando vorranno cambiarlo avranno il potere per farlo. Ma troppi tifosi non hanno il fuoco dentro e passione a sufficienza: fanno poco o nulla per cambiare le cose. Il gioco del calcio è cambiato in peggio molto rapidamente negli ultimi 20 anni. Spero che un giorno la situazione cambi ma non sono ottimista.’

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