John Terry, capitano del Chelsea e simbolo del calcio inglese, è stato intervistato nel corso del “Captain Leader Legend”, durante un’iniziativa organizzata dal club londinese. Si comincia da uno storico capitano del Chelsea, Dennis Wise: “Dennis è stato il primo che ho potuto ammirare. Ancora non facevo parte della prima squadra, ma già mi rendevo conto dell’importanza che aveva: era un grandissimo motivatore. Molti pensano che diventi capitano perché sei quello che alza di più la voce, invece, a volte, dipende dall’atteggiamento che dimostri durante gli allenamenti e da come imposti il tuo lavoro: lì diventi un esempio da seguire. Lui era questo, era il numero uno, facilitava la coesione dello spogliatoio. Seguiva tutti i giovani e li teneva sotto controllo, me compreso. Ero solito pulire le sue scarpe e lo facevo con grandissima cura. Mettevo dei giornali dentro in modo che mantenessero la forma e fossero asciutte per il giorno della partita. Un giorno mi disse ‘questi sono gli strumenti del mio mestiere e voglio che siano perfetti. In questo modo, durante la gara, posso concentrarmi solo sul gioco e non devo preoccuparmi delle mie scarpette’. Prese l’abitudine di darmi una piccola ricompensa extra, 25 sterline, ogni volta che segnava: era circa metà della mia paga. Pregavo ogni volta che si guadagnasse un rigore o che segnasse in qualche altro modo”.
Wise come un padre calcistico per Terry: “Mi è stato sempre molto vicino e mi prese sotto la sua ala protettiva. Ho imparato molto da lui. Naturalmente sento ancora “Wisey” e quando gli dico che lo guardavo come un eroe, e accenno al fatto delle scarpette, lui mi ferma imbarazzato. Questo è Dennis Wise, un vero capitano. Per me essere capitano è tutto ciò che dimostri nel campo d’allenamento e in partita. Quello che hanno mostrato giocatori del calibro di Wise, Kevin Hitchcock, Jody Morris, Michael Duberry: loro mi hanno permesso di essere in campo quello che sono ora. Fuori dal campo ho sempre avuto massimo rispetto per loro, così come per i miei coetanei e colleghi professionisti, ma in campo volevo vincere i tackles contro i giocatori della prima squadra e questo era considerato un po’ troppo. Qualche volta, i giocatori stranieri in particolare, non apprezzavano. Dan Petrescu una volta mi afferrò per la gola e mi chiese cosa mi passava per la testa. “Wisey” fu il primo che arrivò in mio soccorso e gli disse che se c’era qualcosa di cui voleva lamentarsi doveva farlo con lui e non con i ragazzi”.
Terry avrebbe fatto di tutto per i veterani: “Fuori dal campo avrei fatto di tutto per loro: il tè, il caffè, ma anche cose stupide, come sedersi sul water dei bagni del campo d’allenamento per riscaldare il posto nelle fredde giornate invernali. E’ bizzarro quando ci pensi, ma anche questo è stato parte della mia crescita. Ho imparato molte delle qualità di capitano da personaggi differenti. Siamo stati fortunati al Chelsea: oltre a Wisey abbiamo avuto campioni del calibro di Marcel Desailly e Frank Leboeuf, grandi personaggi che avevano vinto tanto. Marcel non parlava spesso e allora un giorno gli chiesi perché e nonostante fossi soltanto un ragazzino mi degnò di risposta: ‘Perché se parli troppo la gente si abitua e dopo non fa più effetto. Io parlo solo quando c’è qualcosa d’importante da dire’. Ho cercato di imparare anche dalle piccole cose come questa e ho tentato di dare sempre il massimo. Per me è fondamentale allenarsi nel modo giusto, ogni singolo giorno. L’ha fatto Wise e lo ha fatto Marcel, anche dopo aver vinto la Coppa del Mondo. Pur avendo vinto tutto nel calcio, Marcel si allenava sempre allo stesso modo e questo è stato un esempio incredibile per me”.
Mourinho e Ancelotti i migliori: “Non c’è nessuno per me che sappia tirare fuori il meglio dai giocatori come Josè Mourinho. Lui sa quali tasti premere e questo spesso passa inosservato. Lui sa cosa può farmi reagire, ha una superba capacità di saper gestire ogni giocatore in modo diverso: vuole sempre il massimo. Ha permesso che alcuni grandi giocatori, come David Luiz e Juan Mata, andassero via dal Chelsea perché in loro ha visto qualcosa che non andava, ancora non so cosa. Ci sono tanti grandi momenti, più di 50 o 60, che possono riassumere il suo modo di essere. A volte si sta perdendo una partita a fine primo tempo, che non capita spesso in questo club, e ci si aspetta una strigliata. Invece entri nello spogliatoio e lui è tranquillo, l’esatto contrario. E’ come se ti dicesse ‘Appena torniamo in campo segniamo subito un gol e questa gara la vinciamo…’ Lui ti carica attraverso questi atteggiamenti. Altri manager direbbero le stesse cose, ma quando parla lui viene dal cuore. Crede fermamente in quello che dice. Altrimenti non lo direbbe. Altre volte capita che stiamo vincendo con due o tre gol di scarto ed entri felice nello spogliatoio. In alcuni di questi casi vedi volare tavolini e bottiglie d’acqua: questo ti da la carica per tornare in campo e vincere 4 o 5 a zero, piuttosto che accontentarti di un 3 a 1 o un 3 a 2. Piccoli dettagli. Josè sa quando i giocatori alzano il piede dal gas, può percepire qualcosa prima della partita. Può capirlo per ognuno di noi in ogni singola partita. L’uomo gestore, Carlo Ancelotti, è il top ed è un bravo ragazzo, una persona con cui amavo lavorare. Loro due sono il top per me”.
La vittoria più importante – “Personalmente il mio più grande ricordo a Stamford Bridge è stato il gol contro il Barcellona, una delle migliori squadre di sempre: ci ripenso spesso. E fare quello che abbiamo fatto quella notte è stato incredibile. Nessuno davvero credeva che potessimo vincere o passare, ma siamo riusciti a farlo e abbiamo giocato molto bene. Ricordi che non dimenticherò mai. Per quanto riguarda la vittoria del collettivo, la partita contro il Bayern Monaco, con l’incredibile gol di Lampard. Ci sono stati tanti grandi gol a Stamford Bridge, ma quello contro il Bayern Monaco è probabilmente il più bel gol che abbia mai visto. Le notti di Champions League non si sentono in modo speciale rispetto ad altri match. Ma credo che tutti ci rendiamo conto che è una grande competizione, molto difficile, e che per vincerla ci vuole qualcosa di straordinario. L’anno che abbiamo vinto, forse non meritavamo, ma qualche anno prima avremmo meritato di vincere e non è accaduto. Sono quelle notti che ti fanno venire fame e queste atmosfere hanno un grande significato per tutti. Mi tornano alla mente i primi giorni accanto a Marcel. La Champions era nuova per il Chelsea e lui mi disse di godermi le emozioni dell’inno ufficiale. In ogni partita di Champions penso solo a lui e a questa frase. Piccole cose che rimangono nella memoria”.
Consigli per i giovani – “Una delle migliori domande che mi abbiamo mai fatto! La cosa più importante che ho imparato in tanti anni è saper accettare le sconfitte. Quando ero più giovane, dopo aver perso una partita, non andavo fuori di casa per tre o quattro giorni. Ora è diverso, ho una famiglia e dei bambini e devo portarli a scuola. Questo è il consiglio che do: quei pensieri vanno via in fretta e c’è sempre modo di rifarsi. Questo è lo stile Chelsea, quello che abbiamo imparato a conoscere. Non posso certo dire che non ho perso il sonno dopo la recente eliminazione con il Paris Saint-Germain: non ho chiuso occhio per tutta la notte. Sarebbe orribile se l’avessi fatto. Ma mi rendo anche conto che dopo tre o quattro giorni c’è un’altra partita e ci devo provare di nuovo. Non è possibile fermarsi. Quando ero ragazzino mi soffermavo troppo su una sconfitta e così nella partita successiva ne risentivo. Bisogna andare avanti e pensare che in futuro ci saranno vittorie più grandi e importanti. E di sicuro in questo club i trofei arriveranno”.
Stella Dibenedetto – www.calciomercatonews.com
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