Per quelli della mia generazione, cresciuti a pane, pallone e Pes 5, oggi è un giorno triste. Uno di quelli che inevitabilmente ti porta ad aprire il cassetto dei ricordi per tirare fuori il meglio, cercando allo stesso tempo di evitare con attenzione gli angoli più bui. Purtroppo negli ultimi anni questi giorni tristi sono diventati inesorabilmente sempre più frequenti, sempre più dolorosi.
Per quelli della mia generazione, cresciuti a pane, pallone e Pes 5, ogni ricordo legato al calcio di fine 1900 ed inizio 2000, è ricoperto da uno spesso strato di pura magia. Le indimenticabili punizioni di Beckham, i gol di Raul, la classe di Figo, le bordate di Roberto Carlos, la sfiga di Ballack… Ore intere trascorse davanti la TV per ammirare attoniti le gesta di quei fenomeni, o per poter vestire i loro panni, controller alla mano, in interminabili sfide alla console. E tra i tanti dei del football, tu della generazione cresciuta a pane, pallone e Pes 5, non potevi non scegliere lui: mani ai fianchi, testa china, 14 tatuato sulle spalle. Quanto ti abbiamo amato King Titì? Difficile anche spiegare a parole cosa ha saputo trasmettere a noi, giovani malati di pallone.
Thierry Henry è stato eleganza pura ed allo stesso tempo irruenza allo stato brado; cattiveria agonistica ma anche sublime delicatezza; silente giustiziere ma anche arringatore di folle. Un campione invincibile, quasi etereo per la sua straordinaria classe, ma così presente e terreno da essere quasi fastidioso con il suo passo felpato per tifosi avversari e nemici di campo. Condensare in poche parole quello che Henry ha rappresentato nel suo “manifesto del calcio”, è davvero arduo.
Ha vinto tutto praticamente tutto, Thierry: ha scritto la storia con il suo Arsenal ed è salito sul tetto del mondo con indosso la 12 della Francia, diventata simbolo di un movimento calcistico quasi irridente rispetto a tutto il resto del pianeta. Il Monaco, la Juventus, il Barça e poi gli Stati Uniti con quel ruolo di ambasciatore di un intero sport. Chi meglio di lui? Non lo ha fermato il razzismo, non lo hanno fermato (quasi mai) i difensori, non lo hanno fermato gli arbitri (vi dice niente la punizione in Wigan-Arsenal?)…
Vessillo di un calcio ormai svanito, rimpianto di squadre che non lo avevano capito e non lo avevano aspettato. Henry ha scritto una pagina di calcio così soave che il solo rievocarla rischierebbe di rovinarla irrimediabilmente. Il rimedio sarebbe forse quello di tuffarsi nuovamente in quegli anni, con immagini, filmati e cimeli dell’epoca. E perché no con una partita a Pes 5. Tanto lui lo troverete sempre lì: mani sui fianchi, testa china e 14 tatuato sulle spalle…
Grazie di tutto, Titì.
Mauro Piro – www.calciomercatonews.com
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