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INCHIESTA – Il lato oscuro del calcio globale (parte 1): intervista a Pippo Russo

INTERVISTA PIPPO RUSSO – Fondi d’investimento, dimensioni economiche parallele poco chiare, personaggi loschi che pensano soltanto al proprio tornaconto, trasferimenti sospetti e tanta, troppa nebbia. Questo è lo scenario che Pippo Russo descrive nel suo libro ‘Gol di Rapina‘, uno scenario che si sta lentamente insediando all’interno del gioco del calcio. Nella prima parte della nostra inchiesta abbiamo focalizzato l’attenzione sulle TPO che, attraverso diverse modalità d’azione, influenzano le operazioni di calciomercato. Un alto numero di giocatori viene ceduto o acquistato dai club senza un apparente motivo e ciò accade perché a monte non ci sono valutazioni tecniche da parte delle società calcistiche interessate bensì gli interessi delle Terze Parti le quali, spostando calciatori da una squadra all’altra, gonfiano a dismisura le proprie casse. La storia dei fondi è però soltanto una delle facce di un mondo sommerso tutto da scoprire, in continuo movimento e sempre pronto a minare il corretto funzionamento del gioco più bello del mondo. In poche parole siamo di fronte al ‘lato oscuro del calcio globale‘, quello che Russo ha deciso di affrontare in modo preciso e meticoloso. Per meglio capire certe dinamiche, abbiamo deciso di intervistarlo iniziando da uomini d’affari superficialmente definiti agenti quindi incentrando subito la nostra attenzione sulle Terze Parti.

Nel suo saggio dedica ampio spazio a tre figure spesso accostate a trattative di calciomercato: Kia Joorabchian, Pini Zahavi e Jorge Mendes. Lei dipinge questi personaggi con pennellate molto oscure. Chi sono e qual è il loro ruolo all’interno del mondo del calcio?

‘Li si definisce impropriamente agenti di giocatori. Ma questa etichetta è riduttiva, e fra l’altro nel caso di Joorabchian non è nemmeno veritiera perché lui fa un vanto di muoversi nel mercato dei calciatori senza avere la licenza da agente. Più corretto dire che i tre siano dei grandi broker globali d’affari calcistici, capaci di agire non soltanto sul mercato dei calciatori. Essi intermediano affari tra la finanza e i club, vengono reclutati dai club stessi come consulenti per il calciomercato, orchestrano trasferimenti da un club all’altro, creano agenzie per lo sfruttamento dei diritti televisivi e dei diritti d’immagine. In alcune trattative può capitare che essi trattino sia come rappresentanti del calciatore che come consulenti di uno dei due club. Si tratta d’una impressionante concentrazione di potere, che distorce il mercato e crea delle pericolose capacità di controllo‘.

La titolarità di Terze Parti sui cartellini dei giocatori è un fenomeno sempre più diffuso. In ‘Gol di Rapina‘ analizza la situazione nel Benfica oltre a zoomare sul caso Tevez. Come funziona la logica della Third-party ownership?

La TPO è una formula attraverso cui un investitore privato (un fondo d’investimento, un imprenditore, una banca d’affari) acquista una percentuale dei diritti economici di un calciatore. Ciò significa che quando quel calciatore verrà ceduto, l’investitore avrà diritto a una quota della cifra di cessione pari alla percentuale dei suoi diritti economici. Mettiamo che un investitore A compri dal club B per 1 milione di euro il 50 per cento dei diritti economici del calciatore X. E poi ipotizziamo che il club B ceda X a un altro club per 3 milioni di euro. Di quei tre milioni di euro, 1,5 vanno all’investitore, che così avrà guadagnato mezzo milione dall’investimento. L’esempio è tanto semplice quanto foriero di due verità indiscutibili. La prima: quei 500 mila euro sono soldi prodotti dentro il mondo del calcio ma portati fuori dal mondo del calcio. Non servono a sviluppare il movimento o a potenziare l’attività del club, ma soltanto ad alimentare la speculazione finanziaria. La seconda: è interesse dell’investitore A che il calciatore X venga ceduto dal club B. Per il fondo, infatti, la permanenza di X nel club B significa avere operato un investimento infruttuoso e a rischio svalutazione. Ciò significa che progressivamente il club perde il controllo sul calciatore, e in ultima analisi la propria autonomia come attore economico. C’è inoltre un altro elemento, che in termini di diritti della persona comporta una lesione molto grave. Un calciatore è una persona. Non un terreno, o un macchinario industriale, o un principio attivo costruito in laboratorio. Speculare in termini finanziari su ciascuno degli oggetti citati può essere lecito e moralmente accettabile. Ma speculare in termini finanziari su una persona come se fosse un asset è qualcosa di spregevole. Ecco, la TPO è esattamente questo: la cartolarizzazione di un essere umano. Chi prova a difendere la formula dicendo che è economicamente legittima e fornisce ai club “fonti di finanziamento innovative” (il che è una manipolazione della verità) dovrebbe rispondere agli interrogativi che sorgono a proposito di questo aspetto‘.

Ci chiediamo: ma da dove prendono i soldi questi famigerati fondi? Chi c’è veramente dietro a questo teatrino che con una smisurata nonchalance modifica (e ha modificato) le trame del calciomercato sotto i nostri occhi e tesse intrecci ai limiti della legalità? L’inchiesta sposta ai traffici di denaro provenienti dall’est Europa, terra di ricchi figuri pronti a fungere da serbatoio per le TPO in modo più o meno lecito.

In un capitolo spende diverse pagine per descrivere il presunto legame di alcuni fondi d’investimento con alcuni oligarchi russi. Può parlarci meglio di questa tresca?

Il ruolo degli oligarchi ex sovietici è comprovato nel finanziamento della Media Sports Investments (MSI), il fondo con sede legale presso le Isole Vergini Britanniche guidato da Kia Joorabchian e proprietario di Tevez e Mascherano nei giorni in cui i due vennero “affittati” al West Ham (fine agosto 2006). Un’inchiesta della procura statale di San Paolo del Brasile, avviata nel periodo in cui la MSI prese il controllo del Corinthians, accertò che a finanziare il fondo di Joorabchian erano i russi Boris Berezovsky e Roman Abramovich, e il georgiano Badri Patarkatsishvili. La procura avviò un’inchiesta per riciclaggio, e spiccò un mandato di cattura internazionale per Berezovsky e Joorabchian rimasto pendente oltre un anno fra il 2007 e il 2008. Ne scaturì un processo che venne chiuso a dicembre del 2013 col ritiro delle accuse da parte del pubblico ministero, che nel frattempo era stato cambiato. E già in quel momento, dei tre oligarchi finanziatori della MSI era rimasto in vita soltanto Abramovich. Gli altri due sono morti nelle medesime circostanze: colpiti da crisi cardiache mentre si trovavano soli in casa. Una modalità spy story, ma le inchieste di polizia stabilirono che in entrambi i casi non vennero riscontrati elementi tali da far sospettare circostanze di morte indotta’.

Arriviamo quindi ad analizzare nel dettaglio le situazioni di alcuni paesi che presentano più di una zona d’ombra. Alzi la mano chi si aspetterebbe di trovare irregolarità in un campionato da tutti elogiato come la Premier League. Seguono poi i casi del Portogallo, paese definito da Russo addirittura ‘la porta d’Europa per gli squali del calcio globale‘, dell’Argentina e delle sue ‘triangolazioni’ (sapete come Higuain è arrivato al Real Madrid o in che modo Roncaglia è approdato alla Fiorentina?) e, infine, quello dell’osannato Atletico Madrid.

Nonostante riceva molti elogi, il modello Inglese avrebbe diverse falle derivanti dalla sua dimensione economico-finanziaria. Nell’incipit del suo saggio ne cita principalmente tre: l’enorme dislivello tra i club di Premier League e di Football League, l’immensa ricchezza proveniente dalla cessione dei diritti televisivi e il meccanismo del parachute payment. In che modo questi fattori renderebbero la Premier ‘irregolare’?

Dal mio punto di vista, la Premier League è irregolare per due motivi: uno concettuale e uno fattuale. Dal punto di vista concettuale si tratta di un campionato irregolare perché antepone la ricchezza al fatto agonistico. La svolta impressa all’inizio degli anni Novanta, avviata grazie al boom della vendita dei diritti televisivi ha creato le condizioni per le quali i club già ricchi aumentassero il divario su quelli medio-piccoli. E va detto che, purtroppo, questo modello è stato replicato in Italia e Spagna. Fra l’altro, un modello che pone tali disparità economico-finanziarie ha anche la caratteristica di permettere agli attori che sono già più forti e più ricchi di diventare sempre più forti e sempre più ricchi sfruttando la leva del debito. In Inghilterra i club più indebitati sono anche quelli che regolarmente o quasi rastrellano i piazzamenti in Champions, e in Spagna il Real Madrid e il Barcellona viaggiano su masse debitorie spaventose. Ma questo è loro concesso, perché il calcio è il settore dell’economia in cui più che altrove vale il principio “too big to fail”. L’altro motivo per cui la Premier League è irregolare risale all’episodio da cui parte il lavoro d’inchiesta portato avanti nel libro: il tesseramento di Tevez e Mascherano da parte del West Ham nell’estate del 2006, fatto in violazione delle regole della Lega. Per quella violazione il West Ham avrebbe dovuto essere punito con una penalizzazione in classifica, ciò che avrebbe comportato la retrocessione in seconda divisione. Ma al momento di sanzionare l’infrazione la Premier League optò per una pesante sanzione pecuniaria, la più alta mai comminata nella storia del calcio inglese e forse in assoluto: 5,5 milioni di sterline, che al cambio di allora corrispondevano a circa 8 milioni di euro. Una sanzione clamorosa per entità, ma comunque mite rispetto alla retrocessione che sarebbe stata conseguenza della penalizzazione in classifica. A far optare per la sanzione pecuniaria fu il fatto che nel corso della stagione il West Ham aveva cambiato proprietà, passando sotto il controllo di un gruppo islandese che aveva compiuto un significativo sforzo finanziario per compiere l’operazione. Dunque la Lega decise di non penalizzare la nuova proprietà e il suo investimento per una colpa di cui si era macchiata la vecchia proprietà. Gli effetti di questa decisione furono due. Il primo, che da quel momento è stato sdoganato il principio per cui la ragione economico-finanziaria prevale sulla rgione sportiva e sul rispetto delle regole. La seconda deriva dal verdetto del campo: il West Ham si salvò sul campo nonostante avesse violato le regole, mentre lo Sheffield United retrocesse sul campo nonostante avesse rispettato le regole. Da allora lo Sheffield è precipitato nelle categorie inferiori anche a causa di una grave crisi finanziaria, e adesso si trova in terza divisione. Invece il West Ham, eccezion fatta per un anno in B, continua a essere nell’élite del calcio inglese e a beneficiare delle ingenti risorse che ciò comporta. Per questo dico che da allora la Premier è un campionato irregolare: un club che avrebbe dovuto rimanere nell’élite adesso tira a campare in terza serie, mentre un altro club che avrebbe retrocedere è ancora lì e gode di benefici usurpati’.

Il meccanismo del parachute payment è tipico della Premier League o si ritrova in altri campionati europei? Anche in Serie A esistono degli incentivi economici simili per chi retrocede?

Sì, ma siamo su dimensioni non paragonabili con quelle della Premier. Tuttavia, al di là delle differenze quantitative, ciò che desta preoccupazione è l’affermarsi del medesimo principio: quello per cui un declassamento sul campo è la premessa d’un disastro economico da arginare. Dacché esistono i campionati fondati sulla formula promozione-retrocessione, quello del declassamento è uno degli esiti possibili e dunque è qualcosa che fa parte del gioco. Ma se siamo arrivati al punto in cui è necessario attrezzare di uno scudo finanziario i club che retrocedono, ciò significa che il divario tra la serie A e la serie B si è già esteso oltre livelli compatibili. E questa è una cosa sulla quale i responsabili istituzionali del calcio italiano farebbero bene a riflettere, piuttosto che accettarla come fosse inevitabile‘.

L’Atletico Madrid ha sponsorizzato per un certo periodo Doyen Group sulle proprie magliette: che relazione esiste tra il club spagnolo e il fondo citato?

‘L’Atletico Madrid è una sorta di club-manifesto del ruolo che i fondi d’investimento possono avere nel calcio. Dalla squadra vengono fatti passare calciatori di buona quotazione, che però sono quasi tutti sottratti al controllo del club perché appartengono in quota a fondi d’investimento. E fra questi fondi il Doyen è il principale. Gli ottimi risultati ottenuti nella scorsa stagione dalla squadra di Diego Simeone hanno celato il vero stato delle cose. E la realtà parla di un club il cui debito viaggia sui 500 milioni di euro. Buona parte della critica continua a descriverlo come club da prendere a modello, e questo conferma quanto superficiale sia la nostra critica. Aggiungo che a fine stagione 2013-14 Simeone ha firmato con Doyen un contratto per lo sfruttamento dei diritti d’immagine. Giusto per chiudere il cerchio’.

Il Portogallo viene da lei definito ‘la porta d’Europa per gli squali del calcio globale’: per quale motivo?

Il Portogallo è da sempre una terra d’immigrazione calcistica, soprattutto per via di un passato storico da impero coloniale. E lì, nel corso degli anni, hanno sviluppato la propria attività alcuni fra i principali agenti di calciatori di livello internazionale: da Manuel Barbosa a Jorge Mendes passando per José Veiga. La peculiarità sta nel fatto che in Portogallo la finanza istituzionale è scesa in campo per prestare le proprie competenze agli attori che mettevano in piedi le formule della TPO, e in qualche caso si è fatta essa stessa TPO. Un esempio in questo senso viene dal Banco Espirito Santo, il secondo gruppo bancario privato portoghese. Il BES ha costituito i fondi d’investimento del Benfica e dello Sporting Lisbona, e questo dettaglio è un’altra peculiarità portoghese: i club che si fanno il proprio fondo d’investimento a partecipazione mista con attori finanziari istituzionali, e attraverso questo strumento fanno finanza creativa. Negli anni recenti il Benfica e lo Sporting hanno ceduto quote dei loro calciatori ai propri fondi (Benfica Strars Fund e Sporting Portugal Fund). E queste operazioni venivano effettuate con valutazioni gonfiate: la quota sul singolo calciatore veniva ceduta a una cifra che faceva schizzare in alto il valore totale iscritto a bilancio. L’estate scorsa BES è fallito, con rischi gravissimi per un’economia nazionale già pesantemente provata. E per i due club si è trattato di un passaggio complicato. Il Benfica ha dovuto sborsare 19 milioni di euro per riacquistare quote dei suoi giocatori dal suo fondo d’investimento. Una situazione da manicomio. Adesso che BES è stato diviso fra una new bank e una bad bank, l’istituto rimesso sul mercato (Novo Banco) è rimasto titolare del pacchetto azionario del Benfica detenuto da BES (8%). Dunque, quello tra finanza e calcio è in Portogallo un rapporto inscindibile. Soprattutto, da quelle parti le TPO agiscono alla luce del sole. Sui quotidiani sportivi portoghesi si parla senza alcuna remora di fondi d’investimento e percentuali dei diritti economici sui calciatori detenute dai fondi. Nessuno se ne formalizza’.

L’Argentina è un altro paese ricco di vicende calcistiche dai contorni molto ambigui tanto da esser da lei denominata ‘terra di triangolazioni’. Prendendo come esempio il trasferimento di Gonzalo Higuain dal River Plate al Real Madrid, passando per il Locarno, può spiegarci schematicamente in cosa consiste una triangolazione?

‘La triangolazione funziona così: un club A deve cedere al club B il calciatore X. Ma anziché cederglielo direttamente lo fa passare da un club estero C. In quest’ultimo club il calciatore X non metterà mai piede, quel passaggio rimane soltanto sulla carta e viene fatto allo scopo di alleggerire il prelievo fiscale sui trasferimenti. Il meccanismo della triangolazione è stato affinato dai club argentini, in un primo momento per rendere meno onerose sul piano fiscale le transazioni interne al mercato nazionale. Se due club argentini dovevano realizzare un affare tra loro, non lo facevano con compravendita diretta del calciatore. Piuttosto, il club venditore cedeva per cifre simboliche il calciatore a un club uruguayano o cileno, e da quest’ultimo il club acquirente comprava. E poiché entrambe le transazioni avevano un versante estero, il fisco argentino veniva neutralizzato. A questo scopo è stata costituita, nel corso del tempo, una rete di club compiacenti in Cile e Uruguay, quelli che l’AFIP (Agencia Federal de Ingresos Publicos, l’agenzia argentina delle entrate) ha definito “paradisi fiscali calcistici”. Il meccanismo delle triangolazioni è stato utilizzato anche per trasferimenti di calciatori dall’Argentina all’estero, così come un paradiso fiscale calcistico è stato creato in Svizzera attraverso il Locarno’.

La pratica della triangolazione è stata utilizzata recentemente anche da qualche squadra italiana? Se sì, da chi?

‘Un caso esemplare si è avuto con l’acquisto di Roncaglia da parte della Fiorentina. Il 30 giugno 2012 il difensore stava per andare a scadenza di contratto col Boca Juniors. Ma giusto pochi giorni prima viene ceduto agli uruguayani del Fenix, club che l’AFIP colloca nella lista dei paradisi fiscali calcistici. Per tesserarlo la Fiorentina versa un milione di euro al Fenix. Per un calciatore che avrebbe dovuto prendere a zero euro. Perché lo fa? Di interrogativi come questo è pieno il calcio globale nell’epoca delle TPO e dei fondi d’investimento’.

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