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Editoriale – Nazionale, Dybala sì, Dybala no, ‘La terra dei Cachi’

Se avvinti dal titolo ironico dell’articolo vi state adesso apprestando alla lettura con spirito gioviale e simpatico, bramoso di comicità, sappiate che siete totalmente fuori strada. Il chiaro riferimento al capolavoro degli Elio e le Storie Tese (piccola annotazione, con questo pezzo VINSERO Sanremo 1996, nonostante la classifica ufficiale abbia infine premiato Ron), non vuole affatto nascondere una discussione, oggi più che mai all’ordine del giorno, bensì metterla in risalto, cercando di darle un’occhiata da una diversa prospettiva. L’argomento è presto posto al centro del discorso: la possibile convocazione dell’attaccante del Palermo Paulo Dybala, all’interno della rosa della nazionale maggiore allenata da Antonio Conte.

La spicciola cronaca dei fatti vuole infatti che, il ct della Nazionale, proprio in queste ore stia trascorrendo del tempo nel capoluogo siculo appositamente per studiare da vicino l’attaccante classe 1993 che, in questo inizio di campionato, sta annichilendo più o meno tutte le difese affrontate dal Palermo sin qui. “U Picciriddu”, il bambino, come amorevolmente definito dai suoi tifosi che negli scorsi due anni lo hanno visto crescere tra alti e bassi, ha senza dubbio un talento fuori dal comune. Tecnica individuale spaventosa, una forza fisica sviluppata soprattutto in questo ultimo anno e mezzo a cavallo tra la B e la A, e tanta voglia di arrivare nel calcio che conta attraverso le proprie capacità. Chi lo portò al Palermo, si dice nel capoluogo, relazionò Paulino così: “diventerà più forte di Messi”. Certo, onestamente ad oggi viene un tantinello difficile paragonarlo al giocatore più decisivo dei nostri tempi, però la stoffa per diventare un grande, il giovane argentino ce l’ha tutta. Argentino, appunto, ed è questo il nocciolo della questione di oggi. Il documento di riconoscimento di Paulo Dybala, riporta accanto la dicitura “luogo di nascita” la ridente Laguna Larga, paesino di 8000 anime a pochi chilometri dalla ben più nota Cordoba. E’ altrettanto vero però che Paulo Dybala può vantare non una doppia nazionalità, ma addirittura tripla: argentina per nascita, polacca ed italiana per discendenza. Il passaporto tricolore, che Dybala vanta insieme alla cittadinanza italiana dal lontano 12 agosto 2012, permetterebbe ad Antonio Conte di convocarlo senza alcun problema già dai prossimi impegni della nazionale maggiore. E’ chiaro però che, per un paese conservatore e per nulla incline alle novità, checché se ne possa dire, una notizia del genere possa portare scompiglio ed, ovviamente, all’apertura della più consueta delle polemiche.

Posizioni nette, distanziate e difficilmente conciliabili: se da una parte infatti c’è chi, portando l’esempio della Germania Campione del Mondo, invita all’apertura totale delle frontiere calcistiche, dall’altra parte si schiera chi, in una miscellanea di patriottismo e celato, ma pur presente, razzismo, sogna di vedere un’ “Italia fatta totalmente di italiani”. Ora, non vogliamo qui dare lezioni a nessuno, né tantomeno incendiare ancor di più una questione che rischia di allontanarci inesorabilmente dal pallone che rotola. Preferiremmo però mediare tra le posizioni, cercando di trarne il meglio.

Un assunto deve essere intanto chiaro a tutti: è impensabile, vista la nostra nuova società, che una squadra come quella azzurra possa prescindere dall’evoluzione di un paese che, oggi più che mai, è al centro di un processo che sta modificando alla radice i suoi meccanismi. Ed è chiaro ci si riferisca tanto al costante flusso migratorio che ci vede involontari protagonisti, quanto ovviamente all’apertura delle frontiere verso i paesi esteri. Certo, con l’esempio concreto del giovane Dybala questo c’entra poco, ma siamo certi il ragionamento sia a stretto giro di posta. Più che italiani per fisionomia, o nazionalità, almeno per quanto riguarda il calcio, andrebbe assunto, e questo è lo strettissimo parere personale di chi vi scrive, il concetto del “sentirsi italiani”. Avvertire come propri i costumi di questo paese, le leggi di questo paese, la storia di questo paese. E per tornare a Dybala, e ricollegarci al nostro caso, sentire come un privilegio quello di indossare la maglia azzurra e non come un ripiego di una mancata convocazione in un’altra nazionale. Ed è proprio quello il nodo che dovrebbe far propendere un CT nel convocare un “oriundo”: vuole davvero fortemente rappresentare la nostra nazione o teme di poter vivere una carriera senza caps in nazionale? Paulo Dybala, chiaramente legato al proprio paese come noi lo siamo al nostro, ha sin qui ha parlato della nazionale albiceleste come obiettivo della sua carriera e non di quella azzurra: sarebbe pronto mentalmente ad accettare la sfida di una nazione calcistica bisognosa di gente di cuore che possa invertire la pericolosa rotta intrapresa?

E’ questa la domanda che il CT dovrebbe porsi, è questo il quesito su cui concentrarsi nella delicata scelta di portare in nazionale chi magari non è nato in questa nostra terra: “hai davvero a cuore le sorti del calcio italiano, o la chiamata di un’altra nazionale la percepisci come potrebbe essere quella di un club?“. Una domanda significativa a cui speriamo Dybala possa rispondere. Sia positivamente, che negativamente: un rifiuto, per quelle motivazioni sopra citate, significherebbe molto di più di un sì demotivato.

Ma questo test di patriottismo basterebbe al nostro paese, ai nostri tifosi, per superare alcune convizioni ataviche?

In fondo non dimentichiamo “la terra dei cachi, è la terra dei cachi“…

Mauro Piro – www.calciomercatonews.com

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