Luis Aragonés non verrà ricordato solo per i titoli vinti durante la sua lunga carriera da allenatore ma passerà alla storia anche e soprattutto per essere stato l’uomo che per primo è riuscito a ricompattare uno stato culturalmente frammentato come la Spagna attorno alla propria nazionale di calcio.
La “Nazione dei popoli” è sempre stata storicamente poco compatta, lacerata da particolarismi e regionalismi sfrenati strenui oppositori della Castiglia e del potere centrale. Addirittura i giocatori della Roja erano arrivati al punto di essere divisi, con i madrileni da una parte e i catalani dall’altra quasi separati da un muro tanto per marcare la rivalità tra due realtà fortemente contrapposte. Il tutto influiva e non poco sul rendimento della Spagna in campo: eccezion fatta per un Europeo nel 1964 e un secondo posto nella medesima competizione nel 1984, successi zero, delusioni tante, troppe considerando il blasone di una squadra formata da una rosa di primissimo livello. A dare un senso alla Spagna è stato proprio Luis Aragones che dal 18 agosto 2004, giorno del suo esordio sulla panchina della Selección, ha portato a compimento tre obbiettivi fantastici. In un ordine crescente di importanza: vincere un Europeo nel 2008, impiantare il seme del Tiki-Taka nella Spagna, e come detto aver riavvicinato il popolo spagnolo.
Mentalità vincente
In Spagna prima dell’avvento di Luis Aragonés non erano particolarmente abituati a vincere. Non che la squadra non avesse elementi di spessore – basti pensare a Raul, Morientes, Helguera, Mendieta, Valerón su tutti – ma era evidente la mancanza di uno stile di gioco. Tante stelle ma sperdute nell’universo. Serviva qualcuno che riuscisse a disporle nel modo giusto e qui citiamo proprio il ct scomparso sabato 1 febbraio 2004 a causa di un male incurabile. Agli Europei del 2006 la Spagna viene eliminata ai quarti dalla Francia ma dall’edizione successiva cambia musica. Nel Gruppo D dei campionati europei del 2008 la Spagna passa come prima forza (tre vittorie: 4-1 sulla Russia, 2-1 sulla Svezia, 2-1 sulla Grecia), supera ai calci di rigore l’Italia di Donadoni ai quarti, sconfigge ancora la Russia 3-0 in semifinale e batte di misura la Germania nella finalissima. Luis Aragonés si dimette dopo la conquista del titolo ma dopo 44 anni la Spagna torna a vincere grazie a un allenatore che ha saputo cogliere i migliori talenti del calcio spagnolo: David Villa, Fernando Torres, Fàbregas, Sergio Ramos, e Xabi Alonso che uniti ai già esperti Xavi, Puyol, Iniesta andranno a formare lo zoccolo duro di quella che diventerà ed è tutt’ora la “Spagna degli invincibili”.
Nasce il Tiki-Taka
Luis Aragonés non ha inventato niente visto che questo termine, per indicare un gioco formato da un’incessante ragnatela di passaggi orizzontali nel tentativo di controllare l’avversario e bucarlo quando meno se lo aspetta, era già in atto in alcune compagini spagnole. In ogni caso è stato proprio lui ad iniziare il lavoro completato poi dal suo successore Vicente Del Bosque che con questa impostazione tattica ha fatto le fortune della Roja. Le parole di Xavi (“Luis è fondamentale nella mia carriera e nella storia de La Roja. Senza di lui, nulla sarebbe stato lo stesso, impossibile. Con lui tutto ebbe inizio. Con Luis abbiamo fatto la rivoluzione, abbiamo cambiato la furia per la palla mostrando al mondo che si può vincere giocando bene. La parola calcio nel dizionario avrebbe dovuto avere nella foto successiva Luis. Luis fatto uomo è il calcio, il calcio fatto persona“) o l’attestato di stima dell’ex allenatore del Barcellona Guardiola (“Il più grande, ha reso possibile ciò che sembrava impossibile“) lo dimostrano a pieno titolo. Essere squadra, dare spettacolo e possesso palla: gli ingredienti che uniti al talento hanno portato la Spagna ad essere quella che conosciamo oggi. L’eredità di Aragonés ha infatti portato alla nazionale iberica il Mondiale del 2010 e gli Europei del 2012.
Madrileni e catalani: tutti per uno, uno per tutti
Real Madrid o Barcellona non importa, quando si è convocati in nazionale si accantona ogni rivalità di club e si lotta per un comune denominatore: la Spagna. E’ stata questa la rivoluzione del ct: in passato partite accese fra le due squadre più famose della Liga portarono i giocatori delle formazioni in questione quasi ad odiarsi con tutte le ripercussioni negative anche all’interno della Roja. Con Luis Aragonés le cose cambiarono radicalmente e con Del Bosque si consolidarono. Xavi, Iniesta, Fàabregas, Piquè insieme ai madrileni Xabi Alonso, Casillas, Sergio Ramos, Arbeloa per cambiare il destino di una nazionale. Fu così che le Furie Rosse dopo anni di scarso appeal fecero innamorare di nuovo tutto il popolo iberico indistintamente dai regionalismi.
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