EDITORIALE ROMA ZEMAN – Quando invitò il calcio ad uscire dalle farmacie fece l’effetto di una bomba in uno spazio aperto. Un grossissimo botto e poi un attimo di sorpresa con silenzio sbigottito annesso
Poi l’opinione pubblica si riprese, dividendosi lestamente in pro e contro.
In modo strano però: ci si sarebbe aspettato di vedere gli antijuventini accorrere subito a dargli ragione e gli juventini ad odiarlo. Invece no, all’inizio lo ignorarono tutti, come si ignora il compagno coi brufoli che racconta relazioni intime con la bonazza della scuola.
Quando Guariniello dimostrò che Zeman non farneticava, ecco tutti o quasi tutti pronti a cavalcare la tigre.
Tutti pronti a scalare le marce alte sulla strada che lui aveva scavata nella roccia.
Rigurgito di moralità? Macchè, il tutto avveniva come sempre, per convenienza, mai (con rarissime eccezioni) sulla spinta di quel senso della correttezza, del merito, dell’importanza del sacrificio e della cultura della sconfitta da trasmettere ai bambini che giocano in strada o agli oratori. Comanda sempre quel sottile gioco delle convenienze private in cui chi gestisce le informazioni è, da sempre, bravissimo.
Zeman pagò con un esilio dorato economicamente (ma poverissimo sul piano della soddisfazione personale) quelle dichiarazioni; fu escluso dal calcio. Un relitto in fondo al mare, il vecchio cellulare con l’antenna da sfilare messo in soffitta nell’epoca degli i-phone.
E con lui pagarono le sue squadre tutte.
Basti pensare che nemmeno il combattivissimo Franco Sensi -che mai era arretrato di un centimetro dalle sue denunce circa i giochi loschi del “palazzo”- ebbe la forza di continuare a fargli guidare la Roma per capire che Zeman non aveva fatto calcoli prima di parlare.
Non era stato il paraculo di cui parla Vialli (a proposito sarebbe interessante capire come può un ex allenatore dimostratosi a più riprese non adeguato giudicarne un altro) o il traditore degli juventini.
Aveva tradito un sistema arrotolato su se stesso e difficilmente dipanabile senza l’intervento della magistratura.
L’esilio di Zeman è lungo, difficile e con scarsi risultati (eccetto la bellissima stagione disputata a Lecce) ma per fortuna finisce, o sembra finire lo scorso anno quando con un Pescara di ragazzini sconosciuti strapazza il campionato e riporta gli adriatici in Serie A vincendo un campionato in cui una squadra così spettacolare non si era vista nemmeno quando c’erano Juve, Genoa e Napoli.
E’ l’eroe di una città che lo adora, di un Presidente che ha creduto in lui ciecamente (anche perché fargli le squadre spesso costa poco e le rose che lascia si rivalutano ) ma soprattutto è l’idolo dei suoi calciatori che lo seguono alla lettera e sudano il doppio degli altri.
Verratti era un trequartista sconosciuto solo 2 anni fa. Oggi è il potenziale vice –Pirlo e per lui si sono mosse tutte le principali squadre di serie A prima che i ricchissimi emiri lo portassero a Parigi in una squadra che da un apio di anni compra solo galacticos. Nessuno dice che Zeman in pochi mesi ha fatto per Verratti ciò che tanti allenatori, molto più coccolati dalla critica rispetto al boemo, non hanno fatto per
Pirlo in tanti anni. Ci dovette pensare Ancelotti a spostarlo in cabina di regia sottraendolo ad una anonima carriera da giovane promessa inesplosa.
Sapete tutti come Zeman abbia lasciato Pescara per tornare alla Roma: troppo forte la voglia di ricucire quello strappo di 14 anni fa che ancora faceva male, a lui e anche ai tifosi Romanisti.
Oggi rischiamo di perdere forse definitivamente questo allenatore capace e questo uomo schietto e leale.
Rischiamo di perderlo perché la squadra sembra non seguirlo, lo tratta – almeno in apparenza – come un corpo estraneo non riconoscibile ed assimilabile.
E se Zeman venisse esonerato dalla Roma o si dimettesse gli salterebbero tutti al collo ed avrebbe chiuso con la Serie A, per sempre.
Tutti i critici di Zeman lo hanno sempre tacciato di avere eccessiva cura per la fase offensiva a scapito dell’equilibrio di squadra, ma nessuno (nemmeno quelli in malafede e che di calcio non sanno nulla) hanno mai messo in dubbio la qualità del gioco offensivo di Zeman. Quante volte si è sentito dire “prendere gol così è da incoscienti”!
Prandelli è stato lapidario nel dire che a Coverciano gli schemi d’attacco si studiano sugli appunti del 433 di Zeman.
Ebbene questa Roma di questo gioco d’attacco non ci ha fatto vedere nulla.
Negli sport di squadra le colpe non sono mai di una sola delle componenti della struttura, quindi anche Zeman starà sbagliando qualcosa e dovrà porvi rimedio alla svelta.
La speranza nostra, per il calcio e lo spettacolo che ci rimetteremmo, è che la sua vera incoscienza non sia stata quella di voler ricucire lo strappo con Roma, con la Roma e con quel popolo giallorosso che quando parlò di doping era al suo fianco .
Angelo Spada www.calciomercatonews.com
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