CALCIOPOLI RAVEZZANI – Non ho mai cambiato idea sul processo penale di Napoli. Dall’inizio dissi che erauna follia e i fatti mi stanno dando ragione. Solo un folle può immaginare di incastrare per associazione a delinquere un gruppo di persone senza avere una prova certa e inattaccabile. Qualcuno dirà: perchè allora Giraudo ha chiesto il rito abbreviato ed ha subìto una condanna? Semplice: l’ex amministratore delegato juventino è andato a vivere all’estero e voleva togliersi dai piedi ogni procedimento. Meglio una condanna da ridurre in appello, senza dibattimento, che impelagarsi in un lunghissimo testa a testa dalla durata imprecisabile.
E veniamo adesso ai fatti penalmente rilevanti nel processo a Moggi e soci (o presunti tali). Li riassumo in una parola: non ce n’è uno. Nessuna prova di pagamenti effettuati dagli (o agli) accusati. Nessuna testimonianza incontrovertibile di errori arbitrali in malafede: pensare che la prova certa derivi dal giudizio di un inviato in tribuna della Gazzetta dello Sport è quasi grottesco. La distribuzione di schede svizzera a un gruppo di arbitri (ancorchè contestata dalla difesa) è certamente molto grave e bastevole di condanna a livello di giustizia sportiva, ma del tutto inconsistente per la giustizia penale. Basta infatti porre l’obiezione: anche se fosse vero, chi può dimostrare che le eventuali telefonate fossero corruttorie? per far cadere il castello accusatorio in un’aula penale (non certo in una sportiva, sia chiaro).
Dunque, a inizio processo ero convintissimo che non si sarebbe approdato a nulla, e ho condiviso le parole del giudice Casoria che riassumo così: con tutti i problemi gravi che ci sono a Napoli cerchiamo di sbrigarci…
Poi ho visto il modus operandi del pm Narducci (uno che, mi dice Signorelli, fuma tranquillamente nell’aula di tribunale in barba alla legge: compilmenti!). Prima ha chiesto inspiegabilmente la ricusazione del giudice, senza ottenerla. Poi ha fatto sfilare una serie di teste d’accusa che sembravano portati dalla difesa per l’incertezza e l’inconsistenza delle testimonianze. Quindi ha presenziato con Moratti alla presentazione di un libro sul calcio in Argentina durante la dittatura e ha realizzato una sua personale intervista a Zanetti invitandolo a organizzare un’amichevole tra l’Inter e gli uomini del sub comandante Marcos (!).
Infine ho atteso con attenzione le testimonianze di Gianfelice Facchetti e Danilo Nucini che non si sono presentati. Testimonianze, incredibile a dirsi, richieste proprio da Narducci come supplemento dell’accusa nella fase finale del dibattimento. Tutto lasciava presupporre che stesse per arrivare un colpo di scena, al termine di un dibattimento fino a quel punto molto negativo per l’accusa. Si è presentato, invece, il collega Fabio Monti che ha messo a segno un colpo memorabile per i pm. Ha raccontato, infatti, che Facchetti gli aveva confidato di aver saputo (ma non si sa da chi) che un giorno De Santis entrò nello spogliatoio della Juve dicendo: da questo momento non contate più su di me. La testimonianza è finita tra l’ilarità dei difensori che chiedevano, ovviamente, chi fosse il testimone di un simile episodio, ricevendo per risposta un emblematico: non lo so.
Ora, è del tutto evidente che un arbitro corrotto non andrebbe mai ad autodenunciarsi davanti a 18 calciatori, molti dei quali l’anno successivo saranno chissà dove. E qualcuno magari (citiamo i casi Davids, Miccoli e potrei andare avanti) se ne andrà dalla Juve sbattendo la porta e litigando con i dirigenti.
Dopo aver richiamato un testimonianza tanto goffa come nuova prova d’accusa, Narducci e il collega Capuano si apprestano adesso (così pare) a chiedere per la seconda volta la ricusazione del giudice Casoria. E a questo punto aggiungo: fin dall’inizio mi sembrava un processo folle. Adesso oltre che un processo folle, mi sembra anche un processo poco serio.
FONTE: QSVS.IT
Mauro Piro – www.calciomercatonews.com
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