RITIRO RONALDO MARZIANO BARCELLONA SPAGNA – Adesso che l’annunciato addio ha preso corpo tra le lacrime, la tentazione di far sedere Ronaldo alla destra di Pelé, Maradona, Cruijff e Di Stefano — i grandi di sempre — resta forte. Molto forte. Noi, nel loggione laterale della vecchia Europa, avevamo preso coscienza dei numeri del Fenomeno in un giorno d’autunno del 1996. Il 12 ottobre, data non banale: è la scoperta dell’America. Ronaldo giocava a Santiago, contro il Compostela, nel Barça dei vari Blanc, Figo e Guardiola. Tra un gol e l’altro, fa questa cosa: prende palla a centrocampo, sguscia via tra un paio di avversari che si aggrappano inutilmente alla maglia, ne dribbla altri due, salta un quinto difensore e, col piede destro, infila il portiere. Quel giorno il tecnico blaugrana Bobby Robson, in panchina vicino al «traductor» Mourinho, scatta in piedi: leva le mani al cielo e finisce col mettersele tra i capelli. Come dire, cos’ha fatto. Cristo, cos’ha fatto. Con quella velocità supersonica, e la testa pelata che non si usava, Ronaldo sembra venuto da un’altra galassia. Un marziano. Diventa ET, extraterrestre, oltre che Fenomeno, per tutti. È stato la sintesi «quasi» perfetta dell’evoluzione del futebol brasiliano. Dal calcio-arte al gioco atletico. Il «quasi» riguarda i guai legati al fisico: muscoli troppo esplosivi per la portata massima dei suoi tendini. Resta qualche zona d’ombra negli anni della crescita: Cruzeiro e Psv prima di Barça, Inter e dei gravi infortuni che gli hanno spezzato la carriera. Tutto in salita, da un certo punto in avanti, fino all’addio anticipato anche per le proteste dei tifosi del Corinthians. Eppure Ronaldo, in campo, ha saputo essere felice e regalare felicità. Gli bastavano tre cose: il pallone, lo spazio, una porta. Da Galactico, nel 2003, dopo una tripletta, ha costretto l’Old Trafford alla standing ovation. Brividi. Bello avere in tasca ancora un briciolo di quell’applauso, mentre cala il sipario sul suo capolinea.
Fonte: Gazzetta dello Sport
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