CALCIOMERCATO INTER MORATTI BENITEZ VINCITORE – Solo l’ultimo atto è di buonsenso. Il resto no. Il resto appartiene alla natura del-l’Inter, ribelle per istituzione, autolesionista per passione. Le parole del comunicato dell’addio a Benitez sono gelide, ma almeno non dure, nè pesanti come quelle che misero Mancini alla porta della Pinetina. Non ci saranno insulti e questo può bastare per consolarsi. Non potevano andare avanti insieme e si sono lasciati. Più che giusto, è stato inevitabile. Benitez se ne va dopo 6 mesi. Una Supercoppa italiana, una qualificazione con un turno d’anticipo agli ottavi di Champions League e un Mondiale per club le sue vittorie, una Supercoppa europea, due figuracce intrafdormare Champions ( Tottenham e Werder Brema) e un pesante ritardo in campionato le sue sconfitte. Non si può dire che sia un bilancio fallimentare. Eppure, in questo breve ma intenso tragitto alla guida di una squadra nuova, sicuramente spremuta, in là negli anni, ma ancora forte, anzi, fortissima, non c’è stato un attimo in cui le difficoltà con cui si è battuto Benitez (e altre create dallo stesso Benitez) abbiano avuto il pieno conforto di Moratti. A pelle non si sono mai piaciuti. Mai intesi. Così Rafa è partito per Abu Dhabi con la sfiducia totale e pubblica del suo presidente: pensando all’Inter, all’obiettivo dell’Inter, non era la condizione ideale. Nello spogliatoio erano già in corso le ribellioni e il voto di sfiducia di Moratti lo ha messo fuori combattimento alla vigilia del Mondiale. Ma Moratti è il presidente, è quello che paga, Benitez invece è il dipendente, è quello che riceve lo stipendio, e non aveva nessun diritto di trasformare la festa di un popolo intero nella sua rabbiosa rivincita personale. Che fosse sfinito dalle storie dello spogliatoio (medico compreso), che fosse esasperato dagli attacchi presidenziali, si poteva capire. Ma se aveva ingoiato tanta amarezza nei giorni precedenti, poteva festeggiare ad Abu Dhabi, tornare a Milano con la coppa in mano, esibirla ai tifosi, dopo un paio di giorni convocare una conferenza stampa alla Pinetina e dire quelle stesse cose (che in parte anche Mourinho aveva detto quando pretese Quaresma) in modi diversi. Ha sbagliato Moratti e ha sbagliato Benitez, ecco perchè in questa storia non c’è nessun vincitore. Nelle prossime ore ne inizierà un’altra, anche questa piuttosto singolare. Un milanista di 13 anni (di anzianità rossonera), un personaggio che ha percorso in lungo e in largo il campo di San Siro, quelli di Milanello e le stanze di via Turati, diventa allenatore dell’Inter. Lo capiranno i tifosi della sua nuova squadra? E quelli della sua vecchia squadra avranno di lui la stessa considerazione? Leonardo deve essere un fenomeno, in panchina e fuori. Deve riportare l’Inter a ridosso delle prime in campionato e far capire a Milano che il suo mondo è uno solo, tondo e liscio come un pallone, senza barriere e senza divisioni. Forse in futuro, se ne avrà la possibilità, potrà diventare ct dell’Argentina e saprà dimostrare che nemmeno quello è un tradimento. In fin dei conti col berlusconismo calcistico aveva già rotto da tempo. Ma Berlusconi, come politico, è davvero fortunato: se ci fosse stato un Leonardo anche in politica, addio governo.
Fonte: Corriere dello Sport