CALCIOMERCATO MILAN INTER ORDINE LEONARDO – È la prassi: si comincia dai complimenti, doverosi. Come segretario di Fondazione Milan, Leonardo Nascimento de Araùjo è stato l’uomo giusto al posto giusto, persona e tratto fatti apposta per quell’incarico diplomatico tutto dedicato alla beneficenza. Come assistente di Adriano Galliani, e occhio del Milan puntato sul mercato brasiliano, è stato semplicemente superbo. Tre le operazioni a lui attribuite con encomio solenne: gli arrivi in sequenza di Kakà, Pato e Thiago Silva, tutti e tre finiti nel mirino della concorrenza ( Chelsea nel primo caso, Inter negli al tri due) e vestiti di rosso e nero che hanno poi puntellato la cifra tecnica del club. Convinti i familiari dei rispettivi calciatori dall’uomo che è un affubulatore nato, capace di stregare chiunque. Anche Moratti, naturalmente. All’epoca, la frase utilizzata per scassinare la resistenza degli scettici, era la seguente: «Non puoi dirti un grande se non hai vestito la maglia del Milan». Forse lo pensava davvero. Di sicuro nel Milan è stato una vita, entrando ed uscendo a suo piacimento, 13 anni tondi tondi, ricoprendo ogni tipo di incarico: prima calciatore, proveniente dal Paris St. Germain, quindi dirigente, infine allenatore lasciandosi convincere dalle pressioni di Galliani che è stato il suo tutor, il suo amico, il suo confidente, il suo tutto. Per sedersi in panchina al posto di Carlo Ancelotti, ha sfruttato una deroga, il titolo mondiale col Brasile al fine di ottenere il permesso da Coverciano: qualche suo collega brontolò, giustamente, lamentando i due pesi e le due misure. Lui, Leonardo, fece finta di niente perché ha sempre pensato di essere un predestinato. Il suo debutto, in panchina, non fu dei più semplici: l’azionista aveva deciso di cedere Kakà per pareggiare le perdite di bilancio e lui si mise sugli attenti, puntando sull’immagine dell’aziendalista scrupoloso. Andò dritto per la sua strada, tra tormenti legati ai risultati negativi e clamorose gaffe. Prese l’abitudine, infatti, di restare chiuso nel suo ufficio di Milanello invece di presiedere gli allenamenti. Un paio di senatori glielo fecero notare e fu costretto a chiudere il computer, a mettersi in tuta e a tornare sul prato verde. «Leonardo ha fatto un miracolo» è la testimonianza postuma di Allegri. Vero: è arrivato terzo, senza Kakà, perdendo negli ultimi due mesi Nesta e Pato. Un piccolo prodigio. Reso simbolico dal famoso modulo 4-2-fantasia che non è suo esclusivo merito. L’idea, un po’ folle tatticamente, maturò nell’intervallo di Milan- Roma, con i rossoneri sotto di un gol e a un passo dal baratro. Fu Galliani a soffiargli nell’orecchio la trovata con una motivazione da ultima spiaggia: «Perso per perso…». Andò benissimo: 2 a 1 nella ripresa e inizio della cavalcata. Poi vennero i giorni, complicati, delle incomprensioni con il patron Silvio Berlusconi. Leonardo fu prima elegante: «Basta una parola e me ne vado». Alla fine invece divenne caustico dettando un giudizio al vetriolo nei confronti del suo presidente: «Lui è Narciso, tutto quello che non è specchio non gli piace». Si congedò da Milanello con una promessa solenne: «Non voglio più fare l’allenatore, preferisco altri incarichi». Non gli ha creduto nessuno, naturalmente. Tranne Galliani, ingenuo a dispetto dell’esperienza. Quando finirono sul web le prime voci su Leonardo obiettivo interista, lui strabuzzò gli occhi, salvo capire l’antifona al culmine di una delle ultime telefonate. «Io non l’avrei fatto mai» ha dettato ora Boban. Ma Boban è fatto di un’altra pasta. Non è come Leonardo, esponente della razza Schumi.
Fonte: Il Giornale