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Diritti tv, si ritorna alla vendita collettiva

MILANO – Una rivoluzione epocale. L’inizio di una nuova era. Si sono sprecate le definizioni per il ritorno alla vendita collettiva dei diritti tv in Serie A. Da quest’anno tutto cambia. Ma cambia davvero? Si assottiglia, cioè, il divario tra grandi e piccole? La risposta non è semplice. È vero che il rapporto tra la prima e l’ultima resta più o meno invariato (1 a5), ma nel mezzo lo spostamento di denaro è notevole. Vecchio regime Fino all’anno scorso, ognuno faceva per sé. Tuttavia, con il sistema della mutualità (al 20%), le più ricche concedevano qualcosa in nome della solidarietà generale e le «provinciali» incassavano. Così il gap si riduceva, rispetto ai contratti che ciascun club firmava con le tv a pagamento. Nel 2009-10, della torta di 673 milioni di euro, alla fine, la Juve ha preso 82 e il Chievo 17; poi c’erano 38 milioni di entrate comuni (dagli highlights alle sponsorizzazioni) distribuiti secondo la classifica. Nuovo regime Da quest’anno tutto è gestito dalla Lega Calcio, che dalle televisioni ha incassato più di quanto non fossero riusciti a fare i club individualmente. La torta si è ingrandita: tolto il 10% da destinare al sistema (e per cui si sta litigando pure in Parlamento) ed esclusi per correttezza i 38 milioni in cui c’è pure la commercializzazione del pallone, restano 810 milioni da distribuire. Il 40% in parti uguali (in Premier League è la metà), il 30% secondo i risultati sportivi e il restante 30% in base al bacino d’utenza. Al momento, due sono i punti interrogativi: un 5% si assegnerà in funzione del piazzamento nella classifica 2010-2011 (si va dai 3,8 milioni della prima ai 190 mila dell’ultima); ma balla soprattutto un bel 25%. Si tratta di circa 200 milioni, da ripartire in base al numero di tifosi. E chi lo stabilisce? Ogni presidente sbandiera la sua ricerca di mercato. Tutti hanno torto, tutti hanno ragione. Le società ci litigano da mesi e ancora non ne sono venute a capo. Divario Nell’attesa, si può solo individuare una forbice. È quello che abbiamo fatto, prendendo per buona la classifica dello scorso campionato. Se avessi-mo aggiunto anche quella variabile del 5%, la forbice si sarebbe dilatata… Tra la Juventus ( 88-92 milioni) e il Cesena (15-19) c’è un abisso, ma per il resto si può davvero parlare di rivoluzione epocale. Il Cagliari, che l’anno scorso prendeva 23 milioni, arriva a 30-34. Stesso discorso per il Genoa e l’Udinese. La Sampdoria fa ancora meglio: da 22 a 35-39. E il Napoli passa da 42 milioni a 52-56. Se l’aristocrazia del calcio non guadagna granché, ma nemmeno ci perde, c’è una borghesia che avanza. Le più penalizzate sono le neopromosse, anche perché devono pagare una «tassa» da 2,5 milioni a testa alle partecipanti all’Europa League.

fonte: gazzetta dello sport

la redazione di www.calciomercatonews.com

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