Libero calcio in libera analisi. Nessun dubbio che la Spagna abbia meritato e l’Olanda picchiato. La Spagna, cioè toreri e torelli, titic-titoc e tiki-taka, palla adagio e ricamare; Xavi, Iniesta, Busquets, Fabregas e le narici fumanti di Xabi Alonso. Nel giro di un paio d’anni ha spazzolato tutto, Europei e Mondiali. Lo stile è l’alto tasso di «anestesia» tecnica con la quale addormenta il paziente e lo opera. Se avesse avuto un bisturi più affilato, tipo il vero Fernando Torres, avrebbe fatto sfracelli. Così, viceversa, deve accontentarsi di termini italianisti come «finalmente concreta»: parola di Luisito Suarez.
Perché sì, tutti caballeros e tutti figli delle vie infinite che lastricano la mappa del calcio. Però. Nessuna squadra era arrivata così in alto segnando così poco (otto gol). L’Italia di Marcello Lippi, quattro anni fa, si era spinta fino a dodici reti. Il segreto di «Vincente» Del Bosque è stato l’equilibrio. E non c’è equilibrio, antico o moderno, che non parta dalla difesa. Due reti subìte nell’arco di sette gare: come gli azzurri in Germania. Non solo: quattro 1-0 consecutivi a Portogallo, Paraguay, Germania e Olanda.
Insomma: possesso palla, difesa e contropiede sono panini che vanno riempiti; se con Nutella, meglio; altrimenti, pazienza. La Spagna era, storicamente, una «señorita» attratta dal calcio di tocco, senza peso in attacco. Lunatica, pretenziosa. David Villa incarna la prolunga di Butragueño e Raul (a proposito di quest’ultimo: i tagli netti pagano, e come). Aragones agli Europei e Del Bosque ai Mondiali l’hanno sottoposta a una revisione tattica che, lungi dallo stravolgerne le curve, ne rafforzasse il bacino. La terapia ha fornito un esito straordinario. Con Casillas nei panni di Buffon e Puyol alla Cannavaro. Poi, naturalmente, ognuno per la sua strada: l’Italia, aspettando; la Spagna, facendo aspettare. Dal muro di Berlino al muro di Johannesburg: più scolpito, più seducente, più provocante. Tutto quello che volete. Ma sempre muro.
Fonte: La Stampa