Secondo la vulgata mondiale, eravamo noi italiani gli specialisti nell’appiccare il fuoco sotto le fascine raccolte per arrostire a dovere i ct. Avevamo cominciato molto presto, nel ’66, al ritorno dalla spedizione rovinosa in Inghilterra col povero Edmondo Fabbri, costretto a riparare di notte per evitare la suburra del tifo azzurro. Non andò meglio neanche al mite Ferruccio Valcareggi, arrivato secondo dietro Pelè nel ’70 a Città del Messico: lo attesero all’areoporto di Roma con i pomodori per fargli pagare la famosa staffetta Mazzola-Rivera, dimenticando che solo due anni prima, lo stesso ct fiorentino aveva guidato Riva e soci al titolo europeo, mai più vinto dalla Nazionale.
Stesso, malinconico destino riservato ad Arrigo Sacchi, costretto ad arrendersi a Pasadena contro il Brasile di Romario, tradito e frenato dall’infortunio muscolare a Roberto Baggio. Uscì dall’europeo inglese del ’96 e gli fecero la festa. Abbiamo insomma una fama meritatissima di mangia-allenatori. Pensavamo di essere noi italiani unici e invece ci siamo ritrovati in buona compagnia. Basta leggere quel che scrivono in questi giorni francesi e inglesi di Raymund Domenech e Fabio Capello per rendersene conto.
Non si limitano a segnalare errori ed omissioni, non discutono le scelte tecniche, vanno oltre entrando nel personale e nel riservato addirittura. L’Equipè, che pure è giornale solitamente composto, molto composto, nella sua titolazione, ha riportato il virgolettato dell’insulto feroce rivolto da Anelka al ct senza alcuna censura, provocando una vera e propria tempesta mediatica all’interno del raduno dei Blues. Stesso trattamento per don Fabio Capello, osannato fino a qualche giorno prima del mondiale, addirittura considerato l’asso nella manica della Nazionale ionglese, a secco di soddisfazioni mondiali dal ’66.
Fonte: Il Giornale.it
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