ROMA – “Quando sono andato via quell’uomo era in piedi. Aveva un braccio ferito, questo sì, ma era vivo. È stato lui a mostrarmi il sangue al braccio e mi ha detto “Guarda qui cosa mi hai fatto!”. Poi io ho salutato una persona dicendogli che ci saremmo visti il giorno dopo e sono andato via a piedi, verso casa mia. Non immaginavo che quell’uomo sarebbe morto. Sono sconvolto, davvero. E dispiaciuto“. Così Rocco Acri, 60 anni, ha confessato di aver accoltellato a morte Edmondo Bellan, 62 anni, la sera della finale di Champions League tra Inter e Bayern Monaco. Proprio la partita – i pochi giocatori italiani in nerazzurro e la maglietta “provocatoria” di Materazzi – avrebbe innescato la discussione tra un tifoso della Juve e uno dell’Inter, che è sfociata nel delitto.
L’interrogatorio di Acri è durato poco meno di due ore, davanti al sostituto procuratore Marco Sanini, al capo della Omicidi Luigi Mitola e all’avvocato Marco Moda. “Tutto è successo alla fine della gara, vista in tranquillità – è la versione fornita da Acri – A un certo punto un signore che non avevo mai visto prima inizia una discussione. Non con me, con il titolare del locale. Io me ne stavo andando via ma quell’uomo lo stava strattonando, allora sono intervenuto per difendere il barista perché ha già una certa età ed è malato. Quando mi sono avvicinato quel signore mi ha messo una mano addosso per allontanarmi. Gli ho detto di stare tranquillo e invece lui mi ha tirato un pugno sul labbro superiore. A quel punto sono uscito fuori e ho lasciato che altri li separassero“.
Ma proprio sul marciapiede, come racconta Acri, avviene il secondo atto della lite. “Credo che quell’uomo sia uscito da una porta sul retro, ma è sbucato in strada e me lo sono trovato di nuovo vicino – sono le parole dell’assassino di Bellan – Veniva verso di me, agitava le braccia. Mi sono spaventato e ho preso un coltello che avevo in tasca“. È l’arma del delitto. “È un coltello che tengo in un giaccone senza maniche che metto quando vado in campagna. Me lo sono messo anche per andare al bar e così quando ho messo le mani in tasca l’ho trovato e l’ho aperto. Ma non volevo uccidere nessuno, sventagliavo la lama a destra e sinistra per tenere lontano quell’uomo, invece lui continuava ad avvicinarsi. Urlava frasi concitate, io non sento tanto bene e mi sono spaventato. L’ho preso ad un braccio. Ma mai avrei immaginato di averlo ucciso. È rimasto in piedi, si è toccato la ferita e mi ha urlato “Hai visto cosa mi hai fatto?”. Era vivo, ripeto, quando me ne sono andato. A casa sono rimasto ancora un po’ sveglio e sono andato a dormire. Non ho detto nemmeno nulla alla mia compagna, perché per me era stata una lite banale. Adesso sembra brutto dirlo ma non potevo immaginare che finisse così“.
Fonte: La Repubblica
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