ROMA – Anche il 19 agosto 2007 il pullman della Roma era stato festosamente assaltato dai tifosi a Fiumicino. Sì, ma lì c’era una Supercoppa italiana da portare sul tetto, strappata all’Inter tirannica. In casa sua, addirittura. Trionfo. Domenica sera a Fiumicino invece i tifosi giallorossi hanno fatto festa alla Roma sconfitta dall’Inter, senza ombre, con merito, come ha riconosciuto De Rossi. Fermiamo un attimo quel pullman e guardiamolo meglio, perché la festa ai secondi non è così banale, in una piazza a rischio costante di esasperazione e vittimismo, poi. I giocatori sul pullman filmavano lo spettacolo fuori, convinti di incamerare una lezione preziosa. E’ così. Ci sarebbe da distribuire quei filmati nelle scuole. Chi la insegna oggi la cultura della sconfitta? L’ultimo episodio, qualche giorno fa, in provincia di Parma: mamme si azzuffano in tribuna mentre i figli (12-13 anni) giocano. Un genitore all’ospedale. A Firenze, dicembre scorso, bambini in lacrime smettono di giocare perché i genitori se le danno fuori. Se quei bambini imparano in casa la vittoria a tutti i costi, cosa pretenderanno dai propri giocatori quando saranno tifosi adulti? Fiumicino giallorosso ricorda che esistono valori come l’appartenenza, la gratitudine per lo sforzo, la condivisione di una delusione che non valgono meno di una vittoria. «I nostri tifosi sono unici», commentava Totti. Onorare una sconfitta è un valore per lo sport. Più o meno nelle stesse ore l’Inter festeggiava sul suo pullman, appeso al quale è rimasto uno striscione inopportuno, che suggeriva per il dito medio di Totti la stessa ubicazione suggerita a suo tempo da Ambrosini per uno scudetto nerazzurro. Pochi giocatori dell’Inter si sono accorti della scritta, poi strappata da una mano pietosa. Ieri Moratti si è scusato. Ranieri si è lamentato, De Rossi pure, senza esagerare: «Non è morto nessuno». Peccato però. Sulle dita, Peppino Prisco ironizzava con altro peso. «Se stringo la mano a uno juventino, poi me le conto», diceva. Da un pullman all’altro, Roma e Inter. Si può vincere un po’ anche da sconfitti e perdere qualcosa nell’ora del trionfo.
Fonte: La Gazzetta dello Sport
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