TORINO – Ecco uno stralcio dell’intervista fatta da Tuttosport a Oliviero Beha, giornalista, che difende Luciano Moggi e attacca il sistema:
Oliviero Beha, lei indaga giornalisticamente sugli scandali del calcio (e non solo quelli) da trent’anni, che idea si è fatto degli ultimi sviluppi di calciopoli?
«Conosco il calcio e le sue zone grigie, fatte di partite vendute e di arbitri che favoriscono una o l’altra squadra e posso affermare che di arbitri effettivamente “corrotti” ce ne sono pochi. Ci sono arbitri che vogliono fare carriera e per farla non possono che aiutare le grandi del momento. La Juventus se in quel momento è forte la Juventus, ma anche l’Inter, il Milan… Questa è la premessa numero uno».
La seconda?
«Le regole del calcio sono tali per cui è difficile smascherare la mascalzonaggine in modo certo. Quasi impossibile avere la pistola fumante, perché l’errore di un arbitro, così come di un giocatore, non si può scientificamente definire volontario. E, in fondo, proprio a questa indimostrabilità è legata la magnifica imprevedbilità del calcio, che ne rappresenta il fascino».
In questo scenario, come si inquadra calciopoli?
«E’ chiaro che dell’articolo uno, inteso come della lealtà sportiva non gliene frega più niente a nessuno. La stessa parola lealtà o lo stesso concetto di etica sono anacronistici nel calcio, diventato una specie di franchigia etica, dove si sono mossi i protagonisti di questa vicenda. Moggi si muoveva “meglio” degli altri, aveva sviluppato un sistema più organizzato ed efficente, ma non è che gli altri se ne stavano con le mani in mano. Tutti volevano essere come Moggi, con lo stesso potere e la stessa organizzazione. Le nuove intercettazioni che colpevolmente sono state ignorate nel 2006 lo stanno dimostrando. Se lui era il “capo mafia”, come minimo esistevano altre cosche. E tutto questo con il beneplacito della Figc».
fonte: tuttosport.com
La Redazione di Calciomercatonews.com